– L’audizione di una
soldatessa, di colleghi e superiori gerarchici di Salvatore
Parolisi, chiamati a descrivere il comportamento del
caporalmaggiore nella vita lavorativa, come istruttore le
allieve in ferma prefissata del 235/o Rav Piceno.
Ma anche il
lavoro certosino dei carabinieri del Ros per tentare di venire a
capo delle sovrapposizioni di celle telefoniche e perdita di
traffico utile che impediscono, ad oggi, di rispondere con
certezza alla domanda chiave dell’inchiesta sull’omicidio di
Melania Rea: se la donna sia mai stata a Colle San Marco di
Ascoli Piceno, con il marito e la figlioletta Vittoria, come
sostiene Parolisi, o se già alle 14:30-15 del 18 aprile si
trovasse nel Bosco delle Casermette di Ripe di Civitella, dove
il 20 mattina è stata ritrovata cadavere.
Le indagini della procura di Ascoli Piceno procedono come in
un lungo puzzle: ogni giorno un nuovo tassello per ricostruire
un quadro d’insieme. Nessuna ansia da pressione mediatica,
calamitata del resto dai funerali di Melania a Somma Vesuviana,
passati alla moviola dalle tv: le immagini di Salvatore in
lacrime aggrappato alla sorella; i genitori e il fratello della
moglie di là dal muro invisibile che ormai sembra separarli.
Alle esequie era presente anche Raffaele Paciolla, l’alter
ego di Parolisi in tutte le fasi cruciali della sparizione e del
ritrovamento di Melania. Lui e la moglie hanno consegnato
spontaneamente il Dna ai carabinieri di Ascoli, “non avendo
nulla da nascondere”, spiega il suo avvocato. Paciolla aveva
già consegnato i suoi tre cellulari: evidentemente, chiosa un
investigatore, si sentono così sicuri da anticipare eventuali
richieste di chi conduce l’inchiesta. Che, allo stato, resta
ufficialmente “senza persone iscritte nel registro degli
indagati, il modello 21, per i reati di sequestro di persona,
omicidio, favoreggiamento”.
Alla recluta ascoltata oggi, sembra la prima, dopo Ludovica
P., con cui Parolisi aveva avuto una relazione, e agli altri
militari e soldatesse chiamati a rendere la loro testimonianza
vengono poste domande sull’atteggiamento tenuto da Parolisi in
caserma. Si vuole far luce su tutto: anche sull’ipotesi che
Melania sia stata ammazzata per vendetta nei confronti del
marito, o per una rivalità amorosa diretta, uno scenario che
non può ancora essere scartato del tutto, anche se non sembra
appassionare gli inquirenti, peraltro blindati su ogni vero
passo avanti dell’inchiesta.
Un testimone, l’avv. Savino Lolli, ha fornito elementi utili
per identificare la donna che come lui era al San Marco il 18, e
potrebbe riferire se Melania e la famiglia si trovavano lì o
no. I pm cercano anche altri testimoni, mentre sul fronte dei
rilievi tecnici pesa l’ostacolo di un ponte telefonico
‘dominante’ nelle ore della sparizione di Melania. In gergo, il
ponte ‘dominante’ è quello che aggancia per primo un telefono
cellulare, che per varie ragioni (traffico di rete elevato ecc.)
può poi agganciarsi ad un ponte ‘servente’. Dai primi riscontri
del Ros è emerso che il ponte ‘dominante’ del telefonino della
donna era il medesimo: nell’area delle giostre di Colle San
Marco e in quella del bosco dove Melania è stata trovata morta.
Nessuno squillo intermedio ha consentito di tracciare un
eventuale ‘percorso’ fra i due luoghi, ma gli esperti
cercheranno di affinare ancora la ricerca. Altro problema,
l’assenza di traffico telefonico ‘fatturato’ sull’apparecchio di
Melania nelle lunghe ore fra la scomparsa e il ritrovamento del
cadavere.
Se un telefonino viene spento e poi riacceso, il traffico
‘volatile’, non fatturato, va perduto, per un’economia legata
alla velocità di connessione: “é un fatto automatico – spiega
un investigatore -, come quando si cerca di versare acqua in un
recipiente già pieno: una parte del liquido che c’é fuoriesce
automaticamente”. (ANSA).